Memoria 5 – Yūsuke Noma
Da apprendista medico militare a dermatologo.
Cosa ho visto durante e dopo la guerra
![]() |
Yūsuke Noma
Nato a Kure (Hiroshima) nel 1920 Medico. Diresse una clinica dermatologica a Kure per circa 50 anni. |
Nato a Kure, nella prefettura di Hiroshima, figlio di medici, al tempo della Seconda Guerra Mondiale Yusuke Noma stava frequentando la scuola per medici militari e si trovava lontano da Hiroshima.
Con la guerra giunta al temine la scuola fu sciolta e lui, dopo essere tornato a Kure, aiutò suo zio, un medico di medicina interna. In seguito, divenne dermatologo e lavorò come tale per circa 50 anni.
Tra i pazienti figuravano anche soldati delle forze d’occupazione.
Non è mai stato direttamente sul campo di battaglia, ma ci ha raccontato cosa ha sentito da suo zio che era un medico e dell’atmosfera che si respirava all’epoca.
Nato in una famiglia di medici, aspira a diventare medico militare
──Signor Noma, lei è stato dermatologo per molto tempo, giusto?
Per quanto ho lavorato? Mi sembra per circa 50 anni.
──Era già medico al tempo della Seconda Guerra Mondiale?
Quando la guerra finì avevo 24 anni ed ero un ufficiale di riserva della scuola per medici militari. Dopo la laurea in medicina militare si raggiungeva il titolo di tenente, ma a quel tempo ero equiparato a un aiutante, un grado sotto il secondo tenente.
Mio padre era un medico, quindi fin da bambino ho pensato che sarei stato anche io un medico. Morì per malattia durante la guerra. Era stato appena costruito il Tunnel Kanmon (tunnel sottomarino tra le stazioni di Shimonoseki e Moji sulla linea principale Sanyō. Venne inaugurato a luglio del 1942). Mio padre si spense pensando che il Giappone avesse vinto la guerra, come tutti entusiasta dei successi in Malesia e nelle Hawaii.
Anche tra i fratelli di mio padre, cinque erano medici. Uno di loro era medico della Marina. Era ufficiale medico capo dell’esercito e venne colpito da un siluro americano un giorno prima di tornare a Sasebo dopo aver lasciato la contea di Kii e morì.
Io ero a Kure e desideravo entrare nella Marina. “È troppo pericoloso” mi contrastavano i miei zii. In effetti, molti di coloro che avevano preso il diploma l’anno prima e si erano arruolati nella Marina erano morti nei combattimenti nelle Filippine. Per cui mi arruolai nell’Esercito. Ero al secondo anno. Al tempo, i medici militari ricevevano un’indennità di incarico di 40.000 yen al mese. Io spendevo anche 100.000 yen al mese, per cui era mio zio a gestire il denaro.
In quel periodo anche il nord del Kyushu era sotto bombardamento. La scuola per medici militari si trovava a Yamagata e ricordo che, quando arrivai, si sentivano le esplosioni delle bombe sulle acciaierie di Shiogama.
A nord di Yamagata c’era un aeroporto. Gli aerei arrivavano lì e bombardavano. È stato l’unico momento in cui ho vissuto la guerra in prima persona.
Anche Kure fu bombardata. Poi venne sganciata la bomba atomica su Hiroshima. Lo venni a sapere quanto stavo frequentando la scuola per medici militari.
La mia famiglia era rimasta a Kure. Mia madre, i miei fratelli e circa quattro membri della famiglia dello zio morto in guerra.
Quando tornai a casa, vidi una vecchia signora raccogliere in un secchio i bossoli. Dovevano essere quelli che avevano lanciato gli aerei. Erano di ottone o di qualcosa di simile e se li avesse rivenduti probabilmente ci avrebbe guadagnato qualcosa.
Essendo finita la guerra e avendo dismesso la scuola, non riuscii a diventare medico militare. Mi fu dato un calzino bianco dell’esercito pieno di riso e ricevetti solo i soldi per il viaggio di ritorno. Andai a Osaka passando da Kyoto e due giorni dopo la fine della guerra ero già a Kure.
Commiato dello zio morto a bordo della corazzata Kongō
──Quindi lei non è mai stato in prima persona al fronte?
Esatto. Non ho vissuto esperienze pericolose in prima persona. Quando mi arrivò la notizia che la guerra era finita, mi trovavo al tempio in montagna di Yamagata. Ci era stato detto che sarebbe stato emesso un decreto imperiale; quindi, abbiamo cambiato i piani per quel giorno e ci siamo diretti al tempio in montagna. Eravamo nelle retrovie, non riuscivamo a sentire bene quello che diceva l’Imperatore ma vedemmo i comandanti piangere. “Resa incondizionata” ci riferirono più tardi. Pensai subito che sarebbe stato un disastro una volta iniziata l’occupazione americana. Ma allo stesso tempo, mi sentivo sollevato.
──Stando alle notizie dell’epoca, il Giappone stava vincendo la guerra. Lei come si sentiva?
Quando tornai a Kure, uno zio che era a bordo della nave da guerra Kongō venne a farmi visita all’università. Ripensandoci adesso, credo fosse venuto a dirmi addio. C’erano dei posti dove si riunivano gli ufficiali, ma le provviste di cibo erano così scarse che nemmeno lì si riusciva a mangiare qualcosa. Credo che mio zio volesse portarmi con sé e mostrarmi delle cose. Poi si imbarcò sulla corazzata Kongo da Sasebo, di ritorno dal sud, ma al ritorno, proprio quando si trovavano a un giorno da Sasebo, furono colpiti.
In primis, il fatto che uno come me, così magrolino, fosse stato ammesso alla scuola per medici militari dimostrava che le cose non stavano andando bene. Per quanto riguardava l’addestramento, facevamo esercitazioni persino su come piazzare esplosivi sui carri armati. Mi chiedevo perché un medico dovesse fare una cosa del genere. Fu in quel momento che pensai che la guerra fosse ormai persa.
Nella mensa era stato messo un cartello che indicava la quantità di riso, centinaia di grammi al giorno che ci avrebbero dovuto servire, ma a me non sembrava così tanto. Giravano voci che quello che mancava a noi se lo mangiavano i superiori.
Riserve di cibo e mercato nero nel dopoguerra
──So che dopo la guerra seguì un periodo difficile, come è stato per lei?
Mio zio aveva uno studio medico e io lo aiutavo con il lavoro. Andavo anche a fare visite a domicilio e, quando erano necessari più farmaci, andavo con la bici a comprarne da una farmacia a Karuga. Anche se non si limitavano a venderci i farmaci richiesti, ci costringevano ad acquistare anche altre cose.
Una volta ci fu un’inondazione a causa di una forte pioggia. I fusti di metanolo che erano stati conservati nei rifugi antiaerei vennero trascinati via dall’acqua e molte persone bevvero il loro contenuto come sostituto degli alcolici. Dovetti visitare più persone colpite da intossicazione da metanolo che quelle esposte alle radiazioni della bomba. I pazienti prima perdevano la vista e poi, molti di loro, morivano. Inoltre, c’erano anche molti casi di tubercolosi.
Ma non potevamo fornire le cure adeguate. Al massimo potevamo somministrargli un po’ di vitamina C. Persino il cibo mancava all’epoca. Grazie al fatto di essere medici, tuttavia, avevamo accesso al mercato nero dove potevamo comprare provviste. Il cibo americano era chiamato Ration e consisteva in scatole piene di cioccolato, budino e articoli di lusso simili. Dato che il riso scarseggiava, le compravamo come suo sostituto. Mi sembra che le truppe di occupazione siano rimaste fino al 1955, più o meno. Ho aiutato mio zio per circa un anno e al secondo anno sono entrato a dermatologia tramite la mia vecchia scuola.
──Col senno di poi, quali sono state le difficoltà maggiori durante e dopo la guerra?
Sono piuttosto ottimista io. Tendo a evitare di pensare a cose che non voglio affrontare. Però sono morte troppe brave persone in guerra. Persone che avevano ricevuto come segno di stima un orologio dai propri mentori. È un gran peccato.
La forza per fermare la guerra
──Che sentimenti prova guardando al Giappone e al mondo di oggi?
L’associazione dei medici della prefettura di Hiroshima ha tenuto per due volte la conferenza IPPNW (International Physicians for the Prevention of Nuclear War). Trovo incoerente che paesi come Stati Uniti e Russia intimino a paesi come Iran o Corea del Nord di non sviluppare armi nucleari. Deve essere più forte la convinzione che senza armi nucleari si rischia di essere sopraffatti. Per noi è facile dire “siamo contrari”, ma nella realtà è difficile da realizzare.
Dopo il disastro che ha colpito il Tohoku, mi chiedo se sia giusto esportare il nucleare. Mi sembra una contraddizione.
──Quando sento parlare di esportazione degli impianti nucleari e di riforme alla costituzione, mi sembra che la corrente più comune stia spingendo il Giappone verso una nuova guerra. Signor Noma, lei cosa ne pensa?
Si vuole modificare la costituzione così che se un paese alleato viene attaccato allora anche il Giappone può entrare nel conflitto? Ha senso, in parte. Dal momento che la Cina è sempre più attiva intorno alle isole Senkaku e sta costruendo navi da guerra, se si sottovalutasse ciò non ci sarebbe più niente da fare dopo. Credo che il nostro Paese debba avere strumenti autonomi per prevenire questa situazione. Tuttavia, anche se si dovesse creare un conflitto, l’opinione pubblica mondiale sarebbe in grado di bloccarlo. Non penso che si arriverà a una vera e propria guerra.
──Ha un messaggio per le persone all’ascolto?
La guerra non è mai una buona cosa. A volte non si può evitare che accada, ma un Paese deve avere la forza necessaria per prevenirla. Credo sia importante tenere sotto controllo l’opinione pubblica per non provocarla al conflitto. Credo non ci sia bisogno di dire che la guerra è sbagliata, è ovvio. Un’educazione adeguata è fondamentale. Così come una buona copertura mediatica.
A me le truppe di occupazione sono sembrate tranquille. Ho sentito che a Okinawa sono state violente, ma non credo sia successo nulla del genere qui nei dintorni. Forse perché erano buoni clienti del mio ospedale. Avevano sempre preparato lo yen con sé e pagavano regolarmente.
Una cosa notai, che i soldati britannici erano quelli meno pagati. Seguivano poi gli australiani. Gli americani non venivano spesso a Kure, ma credo che fossero loro i più ricchi.
──Ci sono molte opinioni contrastanti riguardo la responsabilità dell’Imperatore e sull’azione dell’esercito di quel periodo. Signor Noma, che opinione si è fatto lei?
Ho grande rispetto per la famiglia imperiale. Credo che Hideki Tōjō abbia agito in modo sconsiderato. All’epoca la Marina aveva un’idea abbastanza precisa di cosa stava succedendo nel mondo, ma per qualche ragione non è riuscita a fermare Tōjō e questo mi dispiace molto. (Fine)
(Intervista di Yōhei Hayakawa / Testo di Akiko Ogawa)
※L’audio di questa intervista è stato curato da Hajime Nakagawa, da tempo partner di Kiqtas per la produzione e l’editing del suono. Il testo è stato redatto dalla copywriter Akiko Ogawa. Cogliamo l’occasione per ringraziarli del loro grande sostegno. Grazie mille.
Sapienza University of Rome
Department of Oriental Studies
Master di secondo livello in traduzione specializzata
サピエンツァ・ローマ大学
東洋研究学科
翻訳研修課程