Memoria 7 – Kimie Ōoka

La minaccia delle bombe atomiche sui corpi e sul futuro dei bambini.

Kimie Ooka Kimie Ōoka

Nata a Hiroshima
Vive a Naka-ku, Hiroshima

Sotto il controllo ideologico imposto in tempo di guerra, Kimie Ōoka sostenne la sua famiglia con forza e gentilezza derivatele dalla sua saggezza e dalle sue conoscenze, mantenendo in cuor suo l’incrollabile convinzione che “non si può vincere questa guerra”.
Quando lavorava nella tabaccheria di famiglia, un soldato uscito dall’accademia militare, le chiese di sposarlo, ma lei gli disse convinta: “Non ti sposerò perché non mi piacciono i soldati. Se non ti va bene, dillo alla polizia militare”. Cosa videro i suoi occhi tra la devastazione della guerra, lei che osservava il mondo con calma e senza farsi fuorviare dalla propaganda?

6 agosto, un lampo di luce cambiò la città e la sua gente

──Ha sempre vissuto a Hiroshima?

Sì, sono nata e cresciuta qui a Eba, una città per metà dedita all’agricoltura e per metà alla pesca.

La mia famiglia era composta da pescatori. Ero la più piccola di sette figli, sei femmine e un maschio (il terzo).

──Dove e cosa faceva durante la guerra del Pacifico?

Non ero a Eba, ma mia madre mi disse di tornare a casa, così ci tornai e mi occupai di varie cose, come fare il bagno ai figli di mia sorella e prendermi cura di loro.

─Cosa ricorda del 6 agosto 1945?

Ero in questa casa. L’evacuazione delle case (rimozione delle case adiacenti alle fabbriche militari e sfoltimento delle abitazioni per evitare la propagazione del fuoco), che doveva durare fino al 6 agosto, terminò il 4.

Il 5 andai al lavoro, ma il 6 rimasi a casa perché non mi sentivo bene. Nel bel mezzo dell’esplosione di un B-29, la radio annunciò la revoca dell’allarme aereo”. Idioti, ma cosa stanno dicendo? Pensai, e in quel momento apparve un lampo di luce intenso e insolito. Mi toccai il viso e la vista del sangue mi scioccò. D’istinto, nascosi velocemente la testa sotto una sedia.

Non so quanto tempo passò, ma quando sollevai delicatamente la testa, era tutto molto silenzioso. Cos’è stato ……? pensai, mi guardai intorno e vidi che tutta la casa, la porta scorrevole di carta, gli shoji erano completamente sottosopra.

Mi chiesi come stesse mia madre, che stava lavorando nei campi. Quando uscii fuor per cercarla, vidi che c’erano degli aerei diversi dai B-19 che volavano, e sentivo il rumore delle esplosioni. Mi sdraiai in un vicino campo di sorgo e, quando il rumore cessò, iniziai a cercare mia madre. La vidi emergere dal rifugio antiaereo, rimasi sconvolta. Il suo abito era a brandelli e la pelle bruciata pendeva come le maniche lunghe di un kimono. Anche la schiena era gravemente ustionata.

Quella notte con la paura di rimanere nelle case crollate, decidemmo di riposarci con alcuni dei vicini in un parco su un terreno più alto. Da lì si vedeva la città di colore rosso fuoco. Dormii per un po’ e quando mi risvegliai la stazione ferroviaria era completamente visibile, di solito era nascosta dalle case.

Dal parco erano ben visibili l’edificio del quotidiano Chugoku Shinbun, il portale del santuario Gokoku, e l’edificio della Banca Sumitomo, le colonne d’ingresso in granito del quartier generale dell’Undicesimo reggimento. La città bruciò per tre giorni, rimasero in piedi solo le strutture più grandi e robuste.

Ora che ci ripenso, fino al 5 agosto, i B-29 volavano tutte le mattine verso le 8 e tutti i pomeriggi tra le 14 e le 15. Guardai il cielo e pensai: “Oh, eccoli di nuovo”, ma ora so che si trattava di voli di ricognizione

 

── A sua memoria, da quanto tempo i B29 effettuavano voli di ricognizione?

Non lo ricordo con precisione, ma erano mesi che volavano. Ogni giorno scattava l’allarme antiaereo, ma non c’erano attacchi incendiari. Mi chiedevo come mai. Quando Tokyo, Osaka e Kobe furono bombardate, non pensai a nulla, ma quando Fukuyama fu bombardata, mi chiesi perché Hiroshima, la capitale militare, non venisse bombardata. Parlando con i colleghi, dicevamo: “Anche Hiroshima sarà colpita da qualcosa alla fine”.

 

 

Le radiazioni che distruggono perfino le cellule del corpo

Dopo aver trascorso la notte nel parco, tornai a casa con mia madre e ci riunimmo ai figli delle mie sorelle, anch’essi salvi.

Quando andai con la mia seconda sorella a raccogliere la legna per il bagno, tirando un daihachiguruma (un risciò di legno usato per trasportare le merci dal periodo Edo al primo periodo Showa) in un luogo in cui le case erano state evacuate, ci spaventammo nel vedere una bambina che camminava verso di noi, dicendo “Fa male. Fa male.”

Fin da bambina avevo sentito dire che i capelli delle persone si rizzavano per la paura, ed era vero. I capelli della bambina si erano drizzati e del suo kimono erano rimasti solo i polsini e l’elastico, mentre il resto pendeva come stracci.

La pelle era strappata e il viso non era più quello di una bambina normale. Quando i genitori cercavano i loro figli, non riuscivano a riconoscerli dal loro aspetto, anche se bastava la loro voce flebile per riconoscerli.

Dai corpi distrutti dalle radiazioni delle persone senza più la pelle, iniziavano a uscire vermi e continuavano a spuntare anche quando venivano rimossi.

Poiché non esistevano medicinali come l’Oxydol, curai mia madre con l’erba dokudami (pianta camaleonte) del giardino. La cuocevo a vapore, l’avvolgevo in un panno di cottone giapponese e la applicavo sulle ferite di mia madre. Non sapevo se quell’erba fosse davvero efficace, ma almeno non le spuntarono i vermi.

Mio nipote tornò tre giorni dopo il bombardamento con 126 ferite sulla schiena e la carotide gonfia come un melograno. Gli feci un impacco con un panno e l’erba dokudami in mezzo, gli diedi del tè dokudami e lo aiutai a farsi un bagno. Mia madre, che non poteva tenere le bacchette a causa delle ustioni, tornò a usarle dopo 40 giorni. Mio nipote, tre anni dopo contrasse la setticemia ma fortunatamente riuscì a guarire e oggi gode di buona salute.

 

── Le sue sorelle e suo fratello si sono salvati?

Mio fratello e le mie sorelle non sono morti direttamente a causa della bomba atomica, ma una sorella e mio fratello morirono successivamente a causa dei postumi delle radiazioni o del cancro. Il marito di una sorella è morto tre giorni dopo il bombardamento senza sapere che lei aspettava un bambino.

I medici dissero a mia sorella che sarebbe potuta guarire se si fosse operata subito, e mi chiesero di portarla in ospedale anche legandola. Ma lei, nata nel periodo Meiji, fino alla fine non si fece sottoporre all’intervento chirurgico, dicendo che non avrebbe permesso che un bisturi intaccasse il corpo regalatole dai genitori.

 

──Lei rimase ustionata o ferita?

Fui solo leggermente trafitta da un vetro, ma non ebbi ustioni. Sono stata molto fortunata.

 

──Prima del 6 agosto, sentiva che sarebbe potuta morire in qualsiasi momento?

Avevo una sensazione del genere. C’erano incursioni aeree ovunque e non sapevo quando sarebbe scattato l’allarme antiaereo. Indossavo il monpé (pantaloni da lavoro per donna) anche quando dormivo, in modo da potermi alzare e uscire in qualsiasi momento, e avevo preparato il cappuccio antiaereo e una borsa con tutto il necessario. Coprivamo anche le luci elettriche con sacchi neri per non far trapelare la luce dalle fessure delle porte di legno di quell’epoca.

 

La consapevolezza di non poter vincere questa guerra.

── Di cosa parlavate durante i pasti in quei giorni di tensione?

Il marito della mia seconda sorella era su una nave militare e quando tornò dalla guerra di Singapore riferì: “Kimi, non possiamo vincere questa guerra”. Lo pensavo anch’io, e gli dissi: “Il Giappone è un paese insulare senza risorse, mentre gli Stati Uniti sono un paese grande e ricco di risorse. Non possiamo certo metterci contro una nazione del genere e pensare di uscirne vincitori”. Lui mi disse di non dire certe cose al di fuori di casa. Non ne parlavamo con gli altri perché sapevamo che il Kenpeitai (la polizia militare) ci avrebbe messo in prigione, ma ne discutevo con questo cognato.

 

── Cosa diceva la sua famiglia della guerra?

Mio padre morì di tumore prima dell’inizio della guerra, mia madre si lamentava: “Che guerra inutile hanno iniziato”.

 

──Pensa che le persone che dicevano “per la Patria” lo credessero veramente?

Credo che, almeno per le persone in grado di giudicare con la propria testa, sapessero che la guerra non poteva essere vinta. Ma non credo che la maggioranza delle persone pensasse che il Giappone potesse perdere perché all’epoca c’era l’idea che i kamikaze avrebbero supportato il Giappone.

In ogni quartiere c’era un hancho (capo di associazione di quartiere) terribilmente arrogante. Organizzavano esercitazioni antincendio con staffette di secchi e facevano salire sulle scale anche le persone in gravidanza. Pensai: “Non hanno alcuna compassione per gli altri.”

 

── Dove ha sentito il Gyokuon-hōsō (trasmissione che annunciò la fine della guerra con la voce dell’Imperatore)?

La ascoltai alla radio a casa con mia madre. Mi sentii frustrata, ma non scesero lacrime. Mi sentii sollevata perché la guerra era finalmente finita e anche mia madre si sentì rincuorata e commentò: “Finalmente è finita.”

──Ha provato odio per gli Stati Uniti dopo la guerra?

Non li odio.
Ho letto la storia di Isoroku Yamamoto (26° e 27° comandante della Flotta Combinata). Essendosi diplomato all’Accademia Militare e avendo viaggiato molto all’estero, aveva una visione del mondo più ampia. Per quanto riguarda la battaglia di Mittway (nel 1942, le forze statunitensi intercettarono le forze giapponesi che miravano a conquistare l’isola e la Marina imperiale giapponese subì pesanti perdite e perse l’iniziativa nella guerra. In seguito, il Giappone rimase a corto di carburante e gli aerei da combattimento effettuarono “missioni suicide kamikaze”, volando con carburante sufficiente per un volo di sola andata), Isoroku Yamamoto diceva che il Giappone doveva colpire gli Stati Uniti sul loro suolo, perchè era lì che avevano le risorse. Anche uno dei suoi collaboratori più stretti commentò che gli Stati Uniti stavano strangolando il Giappone lentamente e inesorabilmente dal punto di vista diplomatico. Non odio gli Stati Uniti. Penso sia stato sciocco da parte del Giappone iniziare la guerra.

 

Ma avevo paura dei soldati americani.

Dopo la guerra, quando la Marina statunitense stazionò le sue navi al porto, due marinai entrarono nella mia tabaccheria. Vedendo la bottiglia da un litro di salsa di soia lasciata là, pensarono che fosse alcol. Cercai di dir loro “NO” per fargli capire che non era una bevanda, ma non capirono il messaggio. (Ride)

Pensai: “Che faccio? Ho paura…” Per farli felici gli misi un lungo panno di seta rosso che indossavo sulla manica del mio kimono come sciarpa. Magari così se ne sarebbero andati. Quando gliela avvolsi al collo loro mi dissero: “Thank you!” e se ne andarono. Mi sentii sollevata. (Ride)

 

La carenza di cibo e l’impotenza nell’aiutare gli altri

── Qual è stata la cosa più difficile della guerra?

Il problema era che non c’era nulla da mangiare. Fino alla guerra sino-giapponese, la nostra alimentazione non aveva particolari problemi, ma da quando è iniziata la guerra con gli Stati Uniti, siamo passati alla distribuzione razionata e la razione di cibo per persona era stabilita: pochi grammi di riso e mezza rapa al giorno. Con cinque bambini in piena crescita, non era sufficiente.

I genitori non mangiavano e davano il loro cibo ai figli, e se c’era uno spazio aperto di 50 cm nel quartiere, piantavano patate dolci, patate piccole e altre colture.
Inoltre, anche se volevamo aiutare i bambini che avevano perso i genitori, non potevamo aiutarli perché noi stessi non avevano nulla da mangiare. Non potevo fare nulla con le mie sole forze. È straziante pensare a quei bambini che sono rimasti soli, senza genitori o parenti.

Le persone che hanno camminato per la città bruciata, sopra i cadaveri, alla ricerca dei loro genitori, dicono ancora oggi che non potranno mai dimenticare il sapore degli onigiri (polpette di riso) che hanno ricevuto alle mense dei poveri.

── Quando avete iniziato ad avere cibo a sufficienza dopo la guerra?

Solo nel 1955 riuscimmo a mangiare a sufficienza. Fino ad allora dovevamo comprare il riso al mercato nero o andare in campagna a barattare per sfamare i nostri figli, ma anche questo non è durato a lungo.

Se venivi scoperto a ricorrere al mercato nero, ti arrestavano per “violazione degli ordini sul controllo delle merci”. Dopo la costruzione del carcere femminile a Miyoshi, molte madri sono state detenute lì. Mia madre era solita lamentarsi: “Che guaio, che tristezza” quando vedeva i bambini aspettare i loro genitori che non tornavano mai. Con tanti figli, non poteva occuparsi di loro più di tanto.

 

Energia nucleare e vita dei bambini

──Cosa pensa dell’energia nucleare?

L’energia nucleare non è buona.

Quando caddero le bombe atomiche, pensai: “Che cos’è?”. Ma quando seppi che si trattava di un’arma atomica 20 giorni dopo la fine della guerra, mi ricordai del mio insegnante di scienze in quarta elementare che disse: “L’umanità sarà distrutta dallo sviluppo della scienza”.

Ci sono movimenti per rimuovere il modello di una persona esposta alle radiazioni che si trova al Museo della Bomba Atomica, perché alcuni studenti si sentono male guardandolo, ma la realtà non è così, è molto, molto peggiore. Se si rimuovono questi oggetti, cosa rimarrà in quel museo? Un cestino del pranzo o una bicicletta bruciati avrebbero lo stesso aspetto in un incendio. Non vedo perché dovremmo sbarazzarci dei modelli umani.

 

──Una sua riflessione sulla guerra da lei che l’ha vissuta.

La guerra è qualcosa che non dovremmo mai iniziare. Non esiste nulla di più disastroso.

Per il futuro, vorrei che si pensasse alla “vita dei bambini”. (Fine)

(Intervista di Yōhei Hayakawa / Testo di Emi Endo)

 

※L’audio di questa intervista è stato curato da Hajime Nakagawa, da tempo partner di Kiqtas per la produzione e l’editing del suono. Il testo è stato redatto dalla copywriter Emi Endo. Cogliamo l’occasione per ringraziarli del loro grande sostegno. Grazie mille.

Traduzione a cura di
Sapienza University of Rome
Department of Oriental Studies
Master di secondo livello in traduzione specializzata
サピエンツァ・ローマ大学
東洋研究学科
翻訳研修課程
Sara Sarti, Ayami Yoshioka